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Roma, 10/05/2025
Tutto era pronto per la sfida tra Jannik Sinner — l’ambasciatore alpino del dritto incrociato — e Mariano Navone — la sorpresa argentina con gambe a molla e faccia da “non sono stato io”.
Ma qualcosa è andato storto.
Non è stato il servizio di Sinner.
Non è stato il rovescio di Navone.
È stata… la trasmissione internazionale.
Sì, amici: le telecamere a bordo campo hanno deciso di prendersi un giorno libero. Niente primo piano, niente replay. Lo schermo si è bloccato come se il satellite avesse detto: “fatemi un riassunto dopo”.
Gli unici ad aver visto tutto il match siamo stati noi, gli spettatori del gallinero: quei posti così in alto che gli aerei devono chiedere permesso per passare sotto.
Da lassù, con binocoli presi in prestito e il collo allungato come giraffe da torneo, abbiamo visto tutto. O quasi.
La pallina si intuiva, non si vedeva.
Il giudice di sedia sembrava un insetto in giacca blu.
E un gruppo di turisti tedeschi gridava “Bravo!” ogni volta che… qualcuno starnutiva.
Il bello è stato proprio questo: senza TV, senza commentatori e senza moviola, il tennis è tornato puro. Solo colpo su colpo, sudore, e qualche insulto creativo in dialetto toscano da parte di un coach frustrato.
Sinner ha vinto (forse).
Navone ha resistito (pare).
E noi, quelli del gallinero, abbiamo vissuto una giornata indimenticabile.
Perché in un’epoca di realtà aumentata, vivere il tennis in diretta — anche con vertigini e panino alla mortadella — è un’esperienza mistica.
Morale della favola:
Può saltare la TV, può saltare il Wi-Fi, può sbagliare anche il VAR.
Ma il gallinero… non sbaglia mai
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